Il disegno della villa di Santorso, con annessi il parco e il podere modello, è frutto di un’importante collaborazione intellettuale e creativa tra l’imprenditore Alessandro Rossi (1819-1898) e l’architetto Antonio Caregaro Negrin (1821-1898). Dal loro vivace dialogo, documentato in alcune lettere, nasce un complesso residenziale e paesaggistico, singolare nella forma e nella funzione.
In questo progetto, ambizioso e articolato, convivono in piena armonia diversi aspetti della realtà. L’immaginazione personale abbraccia il vissuto familiare e la memoria storica del luogo, per coinvolgere poi la sfera del lavoro e delle relazioni sociali.
Nella primavera del 1865, Alessandro Rossi acquista dalla famiglia Prosdocimi l’antica villa Bonifacio Velo, di origine cinquecentesca, situata ai piedi del monte Summano. In quella data, la villa era un edificio di modeste dimensioni, con una casa padronale e una barchessa, entrambe in pessimo stato di conservazione. Di conseguenza, l’architetto Caregaro Negrin dispone una ricostruzione completa dell’edificio, che contempla un ingrandimento della casa padronale, funzionale alle esigenze della numerosa famiglia del committente.
Dopo la ristrutturazione, la facciata della casa padronale diventa un piano ornamentale di grande impatto scenografico, in cui si intrecciano fantasiosamente molteplici elementi decorativi, plastici e pittorici, risalenti a diverse epoche e stili. L’ingresso monumentale della casa è presidiato simbolicamente dalle statue raffiguranti le pecore merinos, animali che hanno contribuito con il proprio vello alla ricchezza della famiglia Rossi.
La decorazione pittorica esterna, della casa padronale e dell’adiacente barchessa, è realizzata ad affresco, per mano del pittore friulano Vincenzo Giacomelli (1814-1890). Lo stile pompeiano di questi affreschi si ispira all’arte romana dell’età imperiale, piuttosto in voga dopo la riscoperta archeologica dell’antica città sommersa dall’eruzione vulcanica.
Nel secondo Ottocento, la scelta di questo stile dipende anche da motivazioni patriottiche, legate alla temperie risorgimentale e unitaria, in cui rinasce il mito dell’antica Roma, considerata culla della cultura italiana. A partire dal 1865, in un periodo di forti tensioni e di grandi entusiasmi legati all’unificazione nazionale, il committente Rossi arruola un gruppo di artisti di diverse età che condividono la sua medesima passione politica, per dar vita a un progetto coerente dal punto di vista spirituale. In questa schiera di artisti, spicca il nome dello scultore sloveno Valentin Zajec o Saitz (1828-1885), chiamato a realizzare la monumentale fontana raffigurante il dio Summano, sorta di genius loci, ossia emblema del territorio inteso come un perfetto connubio tra ambiente e storia.
La raffinatezza della costruzione architettonica e la ricchezza della decorazione pittorica e plastica evidenziano il duplice ruolo della villa, destinata a diventare al contempo la residenza privata e la sede rappresentativa di un personaggio di grande notorietà pubblica. All’interno della casa, a suscitare l’ammirazione degli ospiti, è innanzitutto il pianterreno con la sala di ricevimento, in cui domina l’affresco del vicentino Giovanni Busato (1806-1886), raffigurante Andromaca mentre riceve le spoglie di Ettore, realizzato anche questo in stile pompeiano e interpretato con notevole partecipazione emotiva.